Quando mi chiedono cosa faccia davvero un Communication Manager, spesso colgo negli occhi di chi ascolta un mix tra curiosità e confusione. È una di quelle professioni moderne, sempre in trasformazione, che non si spiegano con una definizione secca, ma si comprendono solo vivendole. Io l’ho fatto. Ho ricoperto questo ruolo per realtà molto diverse tra loro, e oggi posso dire con certezza che il Communication Manager è prima di tutto un architetto del messaggio: non di uno solo, ma di tutti quelli che un’azienda emette — consciamente o meno — ogni giorno. Posso anche ammettere con assoluta certezza che non è un ruolo che ricopro volentieri. E’ un abito che non mi si addice e lo reputo cosi strategico da non volerci mai entrare in conflitto.
Il punto di partenza: la coerenza
Nel mio lavoro quotidiano la prima sfida è sempre la stessa: creare una comunicazione coerente. Specialmente in ottica Seo. L’identità di marca non è solo un logo o un claim: è un insieme di toni, immagini, sensazioni, scelte linguistiche e comportamenti aziendali che devono parlare la stessa lingua. Come Communication Manager mi trovo ogni giorno a costruire, correggere e rinforzare questo linguaggio, affinché ogni touchpoint — dal sito web all’e-mail, dal post social al comunicato stampa — sia parte di un’unica narrazione.
Non è semplice. Ci sono momenti in cui serve fermarsi, spegnere il rumore, e chiedersi: quello che stiamo dicendo, è davvero quello che vogliamo trasmettere? Perché nel caos della comunicazione digitale, è fin troppo facile parlare tanto… senza dire nulla.
Un ruolo di coordinamento (ma anche di regia)
In molte aziende il Communication Manager viene visto come una figura di raccordo tra marketing, PR, digital e persino risorse umane. Nella mia esperienza, però, è qualcosa di più: è la regia silenziosa che tiene insieme tutti i reparti, e fa sì che parlino con la stessa voce.
Ogni volta che un nuovo prodotto viene lanciato, ogni volta che un’azienda deve affrontare una crisi, ogni volta che si definisce una campagna di employer branding… è lì che entro in gioco. Non per decidere cosa dire, ma per garantire che venga detto nel modo giusto. E soprattutto che non venga contraddetto da un altro canale il giorno dopo.
Saper ascoltare (più di quanto si creda)
Uno degli aspetti più sottovalutati del mio ruolo è l’ascolto. Fare comunicazione non significa solo “parlare bene”. Significa saper leggere i segnali del mercato, capire cosa pensa davvero il pubblico, intercettare le emozioni e persino i silenzi. L’ascolto può essere fatto con gli analytics, certo, ma anche con gli occhi e con la pancia. Una buona Agenzia di Marketing deve sempre avere una passione per il cliente che segue altrimenti perderà presto la dedizione per il progetto.
Ci sono momenti in cui ho capito che qualcosa non andava semplicemente leggendo i commenti di una campagna. E momenti in cui un insight fondamentale è emerso da una telefonata con un cliente storico. Il Communication Manager efficace è quello che sa raccogliere questi segnali sparsi e farne un racconto coerente.
La gestione delle crisi
Ne parlo sempre con grande rispetto. La crisi comunicativa è quel momento in cui ti giochi la reputazione in poche ore. Io ci sono passato. E ti assicuro che avere una comunicazione preparata, tempestiva e trasparente fa tutta la differenza del mondo. In quei momenti, il Communication Manager non è più solo un regista: è un pompiere, uno psicologo, un diplomatico.
Saper tenere insieme una narrazione coerente mentre l’azienda è sotto pressione è un’arte. E quella stessa pressione che rischia di disgregare tutto, può diventare l’occasione per costruire fiducia, se si comunica nel modo giusto.
Interno ed esterno: due mondi da connettere
Un altro aspetto fondamentale — che in pochi considerano — è la comunicazione interna. Ogni volta che un’azienda comunica solo verso l’esterno, dimenticandosi delle persone che la abitano, sta perdendo metà del suo potenziale. I dipendenti sono i primi ambassador, i primi portavoce, i primi clienti.
Nel mio lavoro ho sempre cercato di costruire ponti tra interno ed esterno. Di spiegare agli stakeholder esterni perché facciamo ciò che facciamo, e di ricordare ai colleghi per chi lo facciamo. La comunicazione, se ben fatta, è un collante. Ed è anche uno specchio: ti costringe a essere quello che dici di essere.
Conclusione: non un tecnico, ma un custode
Non sono un copywriter. Non sono un social media manager. Non sono un addetto stampa. Eppure mi ritrovo ogni giorno a scrivere testi, gestire piani editoriali, redigere note ufficiali. Perché il Communication Manager non è tanto chi fa tutto, ma chi custodisce il senso. Chi garantisce che ogni parola rispecchi un’identità chiara. E chi lavora per far sì che le parole, un giorno, si traducano in fiducia.
Questo è, per me, il significato più profondo del mio lavoro.


